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Le birre

Qui troverete informazioni sul Canarus St. Tripel, Potteloereke, e la Vergine di Gottem.

 

 

Saint Canarus Tripel

7,5 vol% alc., con fermentazione secondaria in bottiglia.

Prima cotta nel 2001: da allora mai una modifica alla ricetta originale, visto il grande successo di pubblico riscosso da questa golden ale.

Rifermentata in bottiglia, la Sint Canarus Tripel ha un bel colore oro antico, leggermente opalescente, e una bella testa di schiuma, corposa, cremosa e di buona persistenza. L'aroma è tranquillo: malto, un po' di alcool, un lievito appena speziato, il tutto molto equilibrato, senz'altro non anonimo. In bocca è rotonda, e dopo una iniziale sensazione di neutralità e di acquosità controllata, la birra prende gradualmente corpo e personalità.

L'amaro è diffuso, il luppolo predomina, ma anche l'alcool si fa sentire con un calore diffuso al palato e giù per la gola. Non molto speziata e/o aromatizzata, si fa apprezzare per la solidità e l'estrema bevibilità; finisce lunga e amarognola

 

 

 

Potteloereke

Particolare, nel senso che è una classica scura belga, ma con un carattere molto deciso e leggermente diverso dalle altre birre comprese in questo range. Molta, molta liquirizia, una vaga sensazione di polvere di caffè, un sentore di frutta rossa asprigna e un sottofondo leggermente speziato.

Questa la sensazione generale che questa birra lascia al palato, una birra corposa, robusta più dei suoi 8° alcolici, che si fa apprezzare ma che richiede anche una certa cautela nell'approccio. Il colore è rosso mogano scuro, al confine con il marrone, la schiuma fine e cremosa, che lascia un sottile velo sulla superficie a lungo.

Mediamente frizzante, soddisfa più per il gusto che per l'aroma, abbastanza ordinario e non particolarmente ricco. La sensazione leggermente amarognola e piccante del lievito ne caratterizza il finale, abbastanza lungo e robusto.

 

 

 

La Vergine di Gottem

A vederlo così, fa un certo effetto: mi riferisco al cono di Kent Goldings inglese che inseriamo “direttamente” in bottiglia, come modalità “estrema” di dry hopping. Sembra quasi un ragno, il cono del luppolo, la cui “sfaldatura” si nota nettamente guardando in controluce la birra, alla quale conferisce striature di color erbaceo aggiunte al naturale colore dorato.

E’ birra particolare, meno luppolata di quanto uno si potrebbe aspettare, visto l’artifizio, generalmente rotonda e maltata, con il luppolo che le conferisce (quasi inaspettatamente) sentori e aromi tendenti più all’affumicato che allo speziato/floreale, come invece il Kent ci ha abituati ad aspettarci.

Ha frizzantezza non accentuata, con schiuma poca e di relativa persistenza, una leggera evoluzione citrica e un finale tendenzialmente morbido, dato da una maltatura diffusa.

Da rivalutare con ancora più attenzione dopo un periodo più consistente di maturazione, per vedere se il consiglio che Chris (Podge) Pollard (“the beer investigator” del CAMRA) ha dato a Piet si confermerà ancor più azzeccato.